Il viaggio dei migranti

Il VIS e Missioni Don Bosco hanno iniziato la campagna di sensibilizzazione Stop Tratta dalla regione del Ghana dove l’esodo di migranti è più forte: il Brong Ahafo, nel centro ovest del paese.

A Berekum, a Nkoranza, centro dove la migrazione ha raggiunto il top dell’hit parade nelle statistiche del Ghana, il VIS ha intervistato decine di migranti, ascoltando i loro racconti: non c’è bisogno di aggiungere molto di più per far aprire gli occhi.

Il tragitto è pressa poco lo stesso per tutti: dal Ghana a Agadez, in Niger. Quella è l’ultima tappa prima della traversata del deserto. I più arrivano lì con le tasche quasi vuote, perchè il tratto di strada tra Berekum e Agadez (circa 2500 km) è già tratta. Frontiere, mezzi di trasporto, posti di blocco della polizia: chi può ne approfitta, sapendo che chi viaggia su quella rotta è disposto a giocarsi tutto pur di continuare verso il suo miraggio: ormai non può più tornare indietro. Sarebbe un fallimento totale. Quacuno scappa senza dir nulla per tagliare di botto debiti e legami famigliari diventati troppo pesanti, perchè è incapace di offrire in casa quello che i suoi si aspetterebbero da un uomo della sua età. Se si parte non si può tornare a mani vuote.

Il deserto diventa un super-businness per chi senza scrupoli vuole approfittare in tutto e per tutto di questo fiume migratorio costantemente alimentato da nuovi arrivati, inconsapevoli di quanto li aspetta.

35 sistemati su un pick up senza alcuna possibilità di muoversi. Si parte per il deserto viaggiando per lo più di notte. Per evitare pattugliamenti libici ci si avventura su piste secondarie e si fa un percorso a staffetta. Il pick up li scarica dopo le prime due notti di viaggio. Un altro mezzo dovrebbe venire a prenderli dalla parte libica. Garanzie? Nessuna.

Non c’è più nessun diritto di nessun genere. Si è merce di scambio sovrabbondante di cui sbarazzarsi dopo aver portato via tutto quello che si può.

Della Libia ricordi sempre più marcati da violenza e sopruso, quanto più sono legati a viaggi e esperienze di questi ultimi anni. Ai tempi di Gheddafi la Libia era come la Svizzera del West Africa e molti ci andavano come lavoratori stagionali, senza nessun pensiero rivolto all’Europa: si metteva da parte un buon gruzzolo per tornare e iniziare una piccola attività o tirar su le quattro mura di casa. La Libia è entrata anch’essa nel DNA dell’immaginario collettivo, come era l’America per i nostri trisnonni. Sono scenari della fantasia sociale che non si cambiano in fretta, tanto più se l’unica fonte di notizie sono le immagini che arrivano dai telefonini di chi è ‘abroad’: mercedes e ville come sfondo.

Del mare chi è a Berekum non può raccontare. I più sono ex-migranti che son riusciti a sopravvivere a un viaggio di ritorno, tra pericoli ancora più grandi, e si sono ritrovati al punto di partenza, privi di tutto, anche dei loro sogni. Aveva lasciato moglie e figli. Al ritorno non ha trovato più nessuno. Anche loro, abbandonati, han deciso di abbandonare il passato e partire senza lasciare traccia.

Un primo passo è far sì che queste testimonianze trasformate in sequenze video e fotografie (le più prese dai telefonini di chi è arrivato fino a Tripoli ed è in qualche modo riuscito a tornare a Berekum) facciano il giro, siano trasmesse dal TV locali e  vengano proiettate nei villaggi con l’aiuto di un generatore – nè corrente nè TV là dove vive la maggioranza dei migranti dal nord –. Primo passo: non certo  l’unico e l’ultimo se si vuole che una nuova con-sapevolezza diventi anche un cambio di direzione per tante giovani vite.

Lo stesso gruppo del VIS è tornato a Sunyani (capoluogo regionale del Brong Aafo) per esplorare possibilità di microcredito agevolato con le banche rurali locali, così da offrire alternative possibili, incoraggiando questi giovani a ‘sognare di restare’ perché ne vale al pena. Altri passi seguiranno.

Padre Silvio Roggia

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