Abbiamo celebrato l’eucarestia nei posti più diversi

Abbiamo incontrato esperienze singolari di lavoro con i più poveri, con gli ultimi, gli esclusi: i malati di lebbra, di AIDS, gli orfani, le minoranze etniche. Sono piccole esperienze (si opera con piccoli numeri), vissute in strutture leggere (appartamenti in affitto), sotto una veste giuridica laica (operatori sociali con competenze specifiche in ambito pedagogico). Ovviamente non abbiamo scuole, parrocchie, oratori, centri di formazione professionale. Tutte le attività che per noi sono il pane quotidiano, qui non funzionano. Ecco allora che la fantasia e l’attenzione ai bisogni veri e concreti dei più poveri ci hanno aperto le porte a forme nuove di aiuto e sostegno. Ufficialmente siamo degli esperti in educazione e formazione, sostanzialmente siamo cristiani consacrati ai giovani, dal cuore grande e aperto alle necessità dei più poveri.

Arrivati in Cina non abbiamo potuto alloggiare nelle nostre case, perché non ci sono. Siamo entrati con un visto turistico ed abbiamo soggiornato in alberghi. I nostri fratelli sono venuti ogni mattina a prelevarci in taxi e così abbiamo potuto stare con loro e vederli all’opera. Abbiamo celebrato l’Eucarestia nei posti più diversi: nel soggiorno di casa di un cristiano cinese, nella camera d’albergo, in una bella chiesa dentro un lebbrosario… Qui è stato più facile perché i lebbrosari non sono posti molto frequentati dalla polizia locale e gli abitanti sono tutti cristiani, quindi niente spie! Abbiamo incontrato ragazzi in appartamento, in una attività commerciale aperta al pubblico dove svolgono un servizio di apprendistato, nel parco cittadino, nei loro villaggi spersi fra le montagne. Proprio in uno di questi villaggi abbiamo sperimentato cosa significhi la condizione di essere “periferia”, così come denuncia spesso Papa Francesco.

Ci troviamo in una città di circa tre milioni di abitanti. Tutto bello e funzionale, come in qualunque altra parte visitata fino ad allora. Usciamo dalla città ed imbocchiamo una strada che sale le montagne che circondano la valle. La strada è asfaltata per circa cinque chilometri. Poi si restringe un po’ e il fondo diventa di cemento. Continuiamo a salire. Dopo un primo villaggio il cemento finisce e corriamo sulla ghiaia ben battuta. Altri pochi chilometri e la strada è una semplice pista di fango rosso ed appiccicoso come colla. Per fortuna abbiamo una buona automobile che anche in salita procede lenta ma costante. Il paesaggio è bellissimo. Colline dolci e tutte coltivate a mais, peperoncino e soprattutto zucche, tante zucche di ogni forma e colore. Ci sbarra la strada un carro di legno con le ruote anch’esse di legno, trainato da un bue. Ma come? Non eravamo nel paese che ha standard di trasporto simile al nord Europa? Si, ma qui vivono le minoranze etniche che sono emarginate dal resto della popolazione. Hanno la loro lingua, le loro tradizioni… fino a qualche anno fa (cioè fino a quando non è arrivato il primo nostro fratello a cavallo di una moto da cross per arrampicarsi su queste strade di fango) non avevano nemmeno la carta di identità. Semplicemente non esistevano per lo stato centrale. Incredibile! Arriviamo al villaggio che non dista più di una ventina di chilometri dalla civiltà, ma qui siamo davvero in un altro mondo. Niente elettricità, né acqua potabile. Le case erano tutte di fango e legno, fino a pochi anni or sono. Siccome sono praticamente tutti cristiani avevamo costruito per loro una chiesa in mattoni di cemento. Dopo questa prima costruzione stabile, anche le case del villaggio lentamente hanno cominciato ad essere costruite con gli stessi mattoni. Ma bambini, maiali, mucche e capre vivono tutti insieme e scorrazzano nel cortile fangoso di casa… francamente non si distingueva molto quale fosse la casa e quale la stalla per gli animali. In quel villaggio il nostro arrivo ha scatenato la festa dei più piccoli che in un pezzetto di terra battuta mista a cemento hanno improvvisato l’oratorio con giochi e merenda per tutti. Grandi sorrisi e tanti fischi… Sì perché un lecca-lecca aveva il fischietto e non vi dico il frastuono continuo di questi fischietti che ci hanno accompagnato fino alla partenza.

Certamente vivere questa forma di essere a servizio dei giovani non è facile né comune (per fortuna dico io) ma sicuramente il nostro caro Padre, che ci veglia dal Cielo e incoraggia e sostiene ogni di noi, può andar fiero dei suoi figli che sono presenti in terra cinese. Quanto ad audacia, coraggio, temerarietà e fiducia in Maria Ausiliatrice, gli assomigliano proprio!

Giampietro Pettenon, Presidente di Missioni Don Bosco

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