Adottare un bambino a distanza: la testimonianza di Pietro e Margherita

Quella che riguarda Pietro Canavesio è una storia in cui Don Bosco si intreccia strettamente con la quotidianità e con le grandi scelte. Non ultima quella che ha presa con sua moglie Margherita di diventare genitore adottivo a distanza nell’ambito delle attività missionarie salesiane.

La motivazione è chiara: “Ci siamo resi conto che nel mondo ci sono tanti bambini che vivono in una povertà estrema” spiega subito Margherita. Quel che si può fare da lontano è assicurare loro una sopravvivenza prima e poi una crescita che consenta di affrancarsi da quella condizione: appunto “adottandoli”, garantendo cioè che una madre e un padre che vivono in un altro Paese si facciano carico dei costi della loro formazione.

“Cosa abbiamo fatto per meritarci una vita più agiata rispetto a tanta povera gente?”: il pensiero di Pietro richiama un coinvolgimento profondo dell’anima che in lui è maturato da giovane. “Mio padre era caporeparto alla Fiat, mia madre casalinga. Hanno avuto tre figli: il più piccolo sono io, per questo ho avuto il privilegio di andare oltre il livello della sola scuola elementare frequentata dai miei fratelli”. Nato con la fine della Seconda guerra mondiale, Pietro si trovò a dieci anni in una Torino che, da poco rimarginate la più grosse ferite dei bombardamenti, si avviava a diventare una capitale industriale. “I miei genitori mi fecero studiare in una scuola Salesiana, all’Istituto Agnelli, alle spalle della fabbrica di Mirafiori che garantiva assunzioni dei tecnici diplomati”. Il percorso si interruppe a fine biennio a causa della morte prematura del papà nel 1961. Ma in quegli anni bastavano buone conoscenze di base e la volontà di mettersi all’opera per trovare un lavoro e sviluppare le proprie capacità.  “L’insegnamento da elettrotecnico ricevuto all’Agnelli si è subito fatto notare nello svolgere le mie mansioni, iniziando da apprendista” ricorda Pietro Canavesio, “la fortuna volle che il mestiere che avevo iniziato mi riempisse di soddisfazioni e così crebbi come operaio, impiegato, dirigente e imprenditore”.

Da presidente dell’impresa che aveva costituita, si trovò a sostenere incontri frequenti con clienti indiani, e spesso si trattò di andare a visitare sul posto le loro aziende. Grazie a questa circostanza incominciarono a divenirgli familiari molte città: Pune, Vizac , Bangalore, Mumbay, Calcutta. Questi viaggi si realizzavano in compagnia di Margherita: lavoro e turismo, ma anche occhi aperti sulla realtà sociale che si incontrava fuori dalle “city”, comprese le missioni salesiane che in India stavano gettando in quegli anni le basi di una fioritura straordinaria del carisma educativo di Don Bosco. “Il motivo per il quale ero interessato a visitare le opere salesiane era di capire come potevano in un Paese così grande e povero riuscire a raccogliere tanti giovani e a dar loro un’istruzione”

Una volta Margherita e Piero si trovarono a Mumbay nel periodo dei monsoni e, ricordano, “nel vedere tantissime persone che vivevano lungo le strade ci domandammo perché loro sono in quelle condizioni mentre noi abbiamo di tutto e di più”.

La risposta che si diedero non rimandava ad altri le responsabilità ma a se stessi: “Dobbiamo restituire qualcosa perché abbiamo avuto tanto”. L’eco dell’educazione avuta nelle scuole di Don Bosco spinse Pietro a considerare il dovere morale di una riconoscenza verso chi l’aveva avviato al successo lavorativo da esprimere attraverso la generosità verso i ragazzi seguiti dai salesiani in quel lontano Paese. “Ho cercato di dare il mio aiuto, sempre troppo poco rispetto a quello che ho avuto io” commenta Pietro con modestia. Margherita guarda la situazione anche dal punto di vista dei beneficiari: “Sarà poco quel che noi riusciamo a fare, ma è una goccia. Sappiamo che tante gocce insieme fanno cose meravigliose! Abbiamo iniziato con un bambino, poi siamo passati a sostenerne due e ora non teniamo più il conto. Di questo sono contenta, vorrei farne ancora di più e vedremo se si potrà fare”.

Sono bambini con cui si instaura una relazione, limitata dalla distanza ma non formale. “Due o tre volte all’anno riceviamo le loro lettere” riferisce Margherita, “ci dicono i risultati a scuola, i diplomi guadagnati, gli auguri di Natale e di Pasqua. Non è un contatto a tu per tu, ma ci fa piacere perché abbiamo conferma che c’è qualche bambino in più che sta studiando”.

Ogni volta Pietro si meraviglia di come i salesiani nel mondo riescano a gestire tutta questa quantità di adozioni a distanza. Ma si dà una spiegazione pensando a quei ragazzi che ha potuto incontrare nelle sue visite alle missioni: “persone ricche di spirito, con gli occhi splendidi. Sono poveri nel senso del denaro ma ricche di spirito. Spero di poter ancora andare a visitare queste realtà”.

Diventa protagonista di una storia importante, sostieni il cammino di un bambino vulnerabile. Vai su missionidonbosco.org/adozioni-a-distanza Per informazioni chiama il n. 011/399.01.91 o scrivi ad adozioni@missionidonbosco.org

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