Asmara, patrimonio dell’Umanità – Diario di viaggio in Eritrea

Cari amici,

siamo arrivati ad Asmara in Eritrea. Non è stato semplice poter entrare in questo paese che dopo l’indipendenza dall’Etiopia ottenuta nel 1991, a causa di un governo autoritario, è progressivamente precipitato in un isolamento quasi totale.Noi italiani ricordiamo l’Eritrea dai libri di storia del periodo coloniale. Nei giorni nostri invece l’Eritrea viene spesso citata dai media perché è uno dei paesi da cui scappano più giovani che, varcato il confine con il Sudan o con l’Etiopia ed attraversato il deserto del Sahara, arrivano sulle coste libiche pronti ad imbarcarsi verso l’Europa. Siamo entrati con un visto turistico, e come tali ci comportiamo. Ad attenderci al nostro arrivo troviamo sia la guida sia l’autista che hanno ricevuto ordini precisi e puntuali sulle mete da farci visitare, e per ciascuna di esse dobbiamo richiedere un permesso per uscire da Asmara. Fare i turisti e poter vedere, oltre alle opere salesiane, anche le bellezze naturali e storiche, e non ci dispiace perché l’Eritrea è un Paese unico e bellissimo.

Asmara, la capitale, si trova a oltre 2300 metri di quota su un vasto altipiano. Il clima è ottimo, non ci sono zanzare, e la sera fa fresco. Un luogo ideale per vivere. Così devono aver pensato anche i nostri avi, quando ad inizio Novecento hanno avviato una impressionante opera di urbanizzazione di questa città, continuata in tutto il periodo del fascismo, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Asmara somiglia poco alle capitali africane, cresciute a dismisura con ampie periferie in cui si ammassano migliaia – a volte milioni – di poveri in cerca di fortuna. Sembra invece di trovarsi in una signorile città di provincia della nostra bella Italia.Asmara ha vissuto un passato glorioso ed ora è di una bellezza decadente, assai affascinante. L’impianto urbanistico e gli edifici costruiti dagli italiani sono così tanti e così caratterizzanti quel particolare periodo dell’architettura che passa sotto il nome di razionalismo, che nel 2017 l’UNESCO l’ha dichiarata Patrimonio dell’Umanità. Camminare sui marciapiedi, entrare nei bar (dai nomi italiani: Caffè Torino, bar Venezia… e con ottimi caffè dal gusto aromatico), fermarsi nelle piazze, ammirare palazzi civili, religiosi e pubblici mi ha dato una sensazione particolare. Pare di stare su un set cinematografico di Cinecittà!

La gente per la strada è gentile, pacifica, educata al senso civico. Le strade e i marciapiedi sono puliti, il traffico è scorrevole… anche perché gli automezzi in circolazione non sono molti.Si vedono tanti vecchi modelli FIAT ancora funzionanti. Passando davanti al parcheggio della scuola-guida notiamo che la gran parte delle auto per l’esame pratico sono delle vecchie Fiat 600, quelle con le porte che si aprono davanti… non riesco a trattenere un sorriso nostalgico, ripensando alla mia infanzia.

La situazione politica del Paese ha fortemente condizionato gli stili di vita degli eritrei. Tutti, indistintamente, sono perennemente arruolati nell’esercito fino a cinquant’anni.Non conducono continuamente vita militare: periodicamente il governo li richiama in servizio e li invia in zone e città diverse dalla propria. Questo stato di continua allerta non crea le condizioni perché i giovani possano programmare il proprio futuro e formarsi una famiglia. Molti per questo motivo scappano dal paese, in cerca di fortuna in altri paesi africani, prima fra tutti l’Etiopia, poi nei paesi arabi del golfo ed infine in Europa.

Non esistono quasi industrie produttive nel paese. Si riceve uno stipendio, misero, perché impiegati dal governo nel servizio militare oppure in attività di pubblica utilità.La gente dei villaggi vive di pastorizia e agricoltura di sussistenza. Usciti dalla capitale vediamo continui greggi di pecore, asini che tirano carretti o che sul dorso sono carichi di tutto quello che c’è da trasportare. Molti sono anche i dromedari che con la loro aria indolente, pascolano ai bordi delle strade e si lasciano sfiorare dalle auto senza scomporsi minimamente. Nei villaggi dell’altipiano le case sono costruite con le pietre: piccoli edifici cubici con il tetto piano che si confondono con i sassi e le rocce che ovunque affiorano e con il suolo polveroso. Nella zona più interna che digrada verso la conca del Sudan il caldo si fa soffocante. Qui le abitazioni dei villaggi sono i caratteristici tukul,capanne circolari in muratura con il tetto di paglia.

Noi visitiamo l’Eritrea in aprile, alla fine della stagione secca. Ora cominciano le piccole piogge, preludio alla stagione delle piogge che va da giugno a settembre. Il paesaggio che vediamo è quindi secco e arido. Le capre e le pecore cercano qualcosa da mangiare fra i rovi e le spine. Ma non è sempre così. Con la stagione delle piogge la terra fiorisce e l’Eritrea diventa un giardino. La gente semina grano, orzo, mais e in autunno fa il raccolto che poi deve durare per tutto l’anno.

Peccato dover constatare che un paese così bello e ospitale debba vedere la maggior parte dei propri giovani sognare un futuro altrove perché, purtroppo, qui il futuro è stato cancellato. Si vive sospesi in un presente che somiglia ad un sogno, un brutto sogno dal quale potersi svegliare il prima possibile.

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