Da Juba al campo profughi di Palabek: le storie di Lily e Patty

La storia di Lily, 16 anni e Patty, 15 anni fuggite da Juba e finite al campo profughi di Palabek.

“Siamo scappati quando i militari sono arrivati al nostro villaggio, saccheggiando, uccidendo e violentando. Ammazzano gli uomini per poter abusare più comodamente delle donne. Io mi sono nascosta in campo con la mia bambina, le ho dato il seno sperando che non piangesse, e ci è andata bene. Quando i militari se ne sono andati, sono partita. Ci ho messo due settimane, ad arrivare a piedi in Uganda. Mi sono legata mia figlia al petto, ho messo in un sacchetto due pentole e due vestiti, le nostre uniche ricchezze. Ho camminato sotto il sole a picco, fermandomi a riposarmi di notte, nell’oscurità più totale. Ma non avevo paura. Ho visto troppe cose brutte nel mio villaggio per aver paura del buio e della fatica. La notte guardavo le stelle e mi sentivo bene. Durante la marcia verso l’Uganda ho incontrato altre ragazze come me, in fuga, con i loro bambini. Avevamo fame e sete, ma eravamo spinte da qualcosa di grande: la speranza di dare un futuro ai nostri figli. Finalmente siamo arrivate a Palabek. Io e la mia bambina qui viviamo in pace: al momento, per me, è l’unica cosa che conta. Mary va all’asilo e sta con gli altri bimbi, io vado a scuola per diventare parrucchiera”

Lily, 16 anni

 

Sono partita da sola, la mia famiglia mi ha mandata avanti. Dopo l’ennesima scorribanda dei guerriglieri mi hanno praticamente obbligata a mettermi in marci per l’Uganda. Sono arrivati i militari, hanno picchiato gli uomini e ne hanno ucciso qualcuno, poi si sono buttati sulle donne. Alla fine hanno dato fuoco a parte del quartiere, periferia di Juba. Quando 2 giorni dopo mi sono messa in cammino, c’era ancora una terribile puzza di bruciato. Ho camminato per giorni, sola e spaventata. Ma mi sono fatta coraggio: meglio un campo profughi di un luogo in cui si rischia di subire violenze tutti i giorni come Juba. Meglio vivere in un Paese straniero che morire in Sud Sudan. Almeno qui, posso studiare. Pensare al futuro. Pensare a un futuro fatto di pace e dignità: la povertà è dura, ma la violenza è la cosa più brutta del mondo. Spero che mia madre e i miei fratelli mi raggiungano presto. Qui in Uganda sto bene. Vivo in una tenda con altre ragazze con me. Non le conoscevo prima, ma arrivano tutte da Juba, come me. Anche loro sono fuggite da sole e anche loro sperano di rivedere presto le loro famiglie. Vivo tutti i giorni sognando il momento in cui rivedrò mia mamma.“

Patty, 15 anni

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