Dire “alzati” a ogni giovane del mondo come Don Bosco, in nome di Gesù

Un adulto che si rivolge a un giovane dovrebbe preoccuparsi anzitutto di trasmettere un invito ad alzarsi:

  • alzarsi da una condizione esistenziale che talvolta si impregna di pessimismo, a dispetto del considerare “spensierata” quell’età;
  • alzarsi per guardare oltre le trappole della quotidianità per comprendere che la vita avrà presto orizzonti più larghi;
  • alzarsi per intraprendere un cammino anche se la strada può apparire impedita dagli altri, dalla famiglia… da se stessi.

È questo l’invito che, nel caso di Gesù, ha consentito a due adolescenti – in differenti episodi narrati nei Vangeli – di riemergere dalla morte fisica accertata dai loro famigliari. Papà Giairo per la ragazza, e una madre (non identificata se non per il paese in cui abitava, Nain) per il ragazzo hanno visto l’evento straordinario della Vita che entrava nelle loro storie; nati una seconda volta, possiamo dar per certo che i due giovani non abbiano poi avuto nessun timore insuperabile nell’affrontare le loro giornate, il loro futuro.

Alla recente festa di don Bosco a Maria Ausiliatrice anche l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nella suo omelia durante la celebrazione eucaristica ha attinto all’immagine dei due giovani ri-suscitati alla vita. “Nessun ragazzo e ragazza è dunque considerato morto, perduto per sempre, da parte di Gesù. Nessuno è considerato così difficile da non tentare un ricupero, da non concedergli fiducia”.

Il rimando a Don Bosco non è commemorativo ma operativo: come lui, i suoi Figli devono sbilanciarsi dalla parte dei giovani, contro ogni constatazione umana o previsione fatalistica. I margini di recupero sono sempre più alti di quello che appare. Psicologia e sociologia possono attestare l’esistenza di casi “disperati” ma si tratta pur sempre di strumenti di analisi, non di decreti sullo stato dell’animo umano.

A volte sembra che sia l’“ottimismo della volontà” a pervadere l’azione di un cristiano, tanto forte questa convinzione da poterlo portare a combattere fino allo stremo per tirare fuori dal pantano chi necessiti di un aiuto. Certo, anche questo valore umano sostiene chi affronta le situazioni di debolezza, materiale e spirituale, di un giovane, ad esempio. Ma non sta (solo) qui l’originalità dell’azione educativa secondo la tradizione cristiana. “Gesù Cristo resta non solo modello insuperabile di educazione, ma è anche il fine ed il contenuto per ogni educatore” ha ricordato mons. Nosiglia.

Se non ci si muove nella prospettiva del “progetto di Dio per l’uomo” si può dare un forte e onorevole respiro a chi si affanna in mezzo ai suoi problemi, ma se non si comunica il senso delle cose da fare e i pensieri da coltivare, manca la ragione per la quale inspirare profondamente e sentire i polmoni pieni di aria. “Le tecniche e le metodologie sono certamente utili” ha rimarcato l’arcivescovo, “ma come ci insegna Don Bosco… quel che più conta sono la verità del Vangelo e l’amicizia con Gesù proposta con amore, insieme alla gioia del rapporto interpersonale di amicizia con ciascuno di loro”.

A Cristo si arriva per tante strade, basta avere l’antenna puntata sulla ricerca della Verità; ma poiché questa può apparire talvolta offuscata, occorre prendere atto che Cristo è anche la Via. Si deve dunque imparare a essere suoi discepoli. E questo non avviene per via esclusivamente “razionale” ma anche per via “affettiva”. Vediamo che nel chiamare i primi seguaci, Gesù non diceva “vieni e ascolta i miei consigli” ma “vieni e vivi la mia giornata”.

Dunque l’educazione è affare di cuore non per una malintesa “romanticheria” che fa svolazzare farfalle nei cortili dell’interiorità, non per una perversa “fascinazione” che vuole guadagnare le anime per usarle a propri fini, ma perché è sostanziata dall’incontro fra persone che si ritrovano davanti al Mistero e non possono far altro che tenersi per mano in religioso silenzio.

Per poi esplodere nella gioiosità, nell’allegria sempre a portata di mano, come succede nella Valdocco di Don Bosco. “Gesù Cristo resta il contenuto centrale di ogni educazione, perché solo Lui può veramente affascinare e interessare fino in fondo i ragazzi” ha insistito mons. Nosiglia. ”Tra Gesù ed ogni ragazzo c’è un rapporto profondo ed intenso, che non dobbiamo mai sottovalutare. La sua persona, il suo messaggio ed i suoi esempi vanno dunque posti a fondamento di ogni azione educativa, che voglia veramente intercettare le attese e i bisogni più veri e profondi dei ragazzi”.

Da quel momento in avanti chi ha a cuore l’educazione dovrà affrontare con perseveranza l’impegnativo compito dare sostanza palpabile alle richieste dei giovani.: “a conoscenza di chi sono i ragazzi e di come interpretare le loro ansie, problemi e situazioni di vita… l’educatore deve rapportarsi con loro, sapendo bene che cosa dire e come dirlo, perché passino contenuti ed esempi di vita…. Quello di cui siamo oggi più carenti sono proprio le convinzioni ed i contenuti che dobbiamo comunicare ai ragazzi” ha osservato l’arcivescovo. “Essi se ne accorgono subito, quando siamo incerti nella proposta e timidi nell’offerta di valori e messaggi convincenti”.

INDIA: UN PROGETTO CONTRO IL LAVORO MINORILE

Un esempio concreto di cosa significhi “ascoltare e agire” è il progetto che Missioni Don Bosco sostiene in un’area marginale dell’India nello stato del Tamil Nadu: lì anche i minori sono coinvolti nella produzione di sigarette artigianali, con gravi conseguenze sul piano della salute. I salesiani hanno un progetto, diffuso in dodici villaggi, a quei bambini e ragazzi un’istruzione minima in un ambiente che sia anche in grado di accogliere i loro legittimi bisogni di divertimento.

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