Fambul vuol dire casa, rifugio, salvezza

Osservare quel sorriso che si apre davanti agli sguardi sempre un po’ stupiti dei bambini che lo aspettano tra i vicoli del quartiere Angola e chiedersi come fa, ogni giorno, a rinnovarsi in maniera così spontanea e coinvolgente, da travolgere chi ha davanti con la sua intensità… Il suo nome risuona tra le baracche e nelle stradine che prendono strane forme sul pavimento ripulito e reso dignitoso grazie ai missionari di don Bosco che dal 1994 sono presenti in uno dei quartieri periferici della capitale della Sierra Leone. Padre Jorge! si sente chiamare dai bimbi e spesso anche dalle mamme o da interi gruppi famigliari che sono ormai parte della vita di un missionario dal cuore grande e dall’enorme concretezza. Non è mai solo nel suo percorso verso i più poveri e verso quelli che definiremmo gli ultimi. Gli scarti della società? I più emarginati e i più maltrattati e brutalizzati? Veramente gli ultimi fra gli ultimi?

Non penso che don Jorge Crisafulli e i suoi confratelli della comunità di Freetown li chiamerebbero così, o almeno non si accontenterebbero di queste definizioni perché per loro i bimbi abbandonati e privati della loro infanzia, le giovani e i ragazzi che hanno fatto della strada la loro casa, sono i primi destinatari del loro intervento e della loro missione. E diventano i primi ad abitare il loro cuore.

I primi ad essere cercati nel peregrinare settimanale, i primi ad essere accolti e inseriti in programmi specifici di integrazione e reinserimento familiare, quando possibile, o sociale. Nel Fambul, l’anima della missione salesiana in Sierra Leone, in cui padre Jorge ha ritagliato gli spazi su misura per garantire adeguato sostegno ai ragazzi che ne diventano ospiti.

A partire dalle più indifese, le piccole vittime di violenze fisiche e psicologiche costrette a vendere il proprio corpo per garantire un pasto a sé o alla propria famiglia, costrette a negare la propria adolescenza perché sembrano non poter avere il diritto di crescere serenamente, obbligate a lottare con una vita assurda, totalmente priva di aspettative e vie d’uscita, che si ritrovano cucita addosso.

Proprio i più piccoli e i ragazzi che come i minori accolti e sostenuti da don Bosco nella metà dell’800 sentono oggi la presenza di un padre che li accompagna verso un futuro differente, sono diventanti il volto del Don Bosco Fambul di Freetown che è sempre alla ricerca di nuovo amore da donare.

Le catene della schiavitù che si spezzano lasciano il posto ad aule festose, fatte di scolari sempre pronti ad intonare inni a don Bosco ma prima ancora alla vita, al futuro. Il rumore delle matite sui quaderni e le formule matematiche o le regole grammaticali che portano ad una prima alfabetizzazione per alcuni e a percorsi scolastici più personalizzati per altri creano una melodia all’interno delle strutture del centro salesiano.

E poi su e giù dall’autobus Don Bosco, che anima le strade di Freetown con i suoi percorsi dedicati alle ragazze prostitute il venerdì pomeriggio e sera, e ai bambini e ragazzi di stradail lunedì, il martedì e il giovedì di ogni settimana.

Gli educatori di strada e gli assistenti sociali che gestiscono il progetto non sono solo motivati a farlo. Sono proprio conquistati dal loro lavoro, perché sono pienamente consapevoli che il loro impegno salva delle vite e crea l’effetto tam tam. I ragazzi col passaparola si raccontano l’esperienza trascorsa con i salesiani e con il team Don Bosco, e tornano sera dopo sera portando con sé gli amici.

Un percorso senza sosta, quello del bus del sorriso, che inizia il pomeriggio con le varie fermate nelle zone di Freetown e della sua periferia dove abitualmente si ritrovano i ragazzi, per proseguire fino a tarda notte con tutte le attività create per mettere a proprio agio i minori: i giochi, le attività di gruppo, i pasti caldi consumati insieme, le cure per ciascuno e l’ascolto di ogni storia. Un’attività in particolare lascia il segno: quella in cui si condividono le impressioni personali sul percorso che si sta facendo con gli educatori e si parla del cambiamento che fa ormai parte della vita di ognuno di loro.

Alusine Bangura è uno dei coordinatori del team di strada, ha iniziato a fare l’educatore sul bus nel 2017. Ha un sorriso grande e tanta voglia di mettersi in gioco per ciascun ragazzo che incontra. Padre Jorge sa di poter contare su di lui e sugli altri 13 membri del team del bus del sorriso. Si fida della loro professionalità e sa quanto credono in questo progetto! 

Il Fambul non si ferma mai! Non può farlo, perché è un punto di riferimento per centinaia di ragazzi e bambini.

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