Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione in tempo di pandemia

L’Unesco ha fissato per l’8 settembre 2021 la data per la celebrazione della Giornata Internazionale per l’Alfabetizzazione.

Istituita negli Anni Sessanta, la proposta cade tempestivamente trovandoci alla vigilia dell’apertura del nuovo anno scolastico (almeno nei Paesi dell’emisfero nord) per ricordare la grave condizione in cui si trova l’istruzione nel mondo durante il secondo grande ciclo di pandemia da Covid-19.

È giusto richiamare i dati globali per comprendere l’importanza dell’allerta lanciato dalle istituzioni internazionali: il numero di analfabeti è stimato in 781 milioni di adulti, dei quali il 64% donne. Oltre la metà di questi vive nell’Asia Occidentale e Meridionale, circa un quarto nell’Africa subsahariana, il 12% nella zona asiatica orientale, il 6,6% negli Stati Arabi e il 4,2% nell’America Meridionale. L’analfabetismo comporta l’impossibilità di sviluppare adeguate capacità di lettura e di scrittura per poter partecipare alla vita sociale e per inserirsi in contesti produttivi e professionali; questo significa anche il mancato accesso a percorsi di istruzione per usare pc, tablet, LIM e altri dispositivi elettronici così decisivi oggi per muoversi nella società al passo della maggioranza.

Italia

La situazione in Italia non ci pone lontani dai livelli di allerta dal momento che emergono vaste sacche di preparazione scolastica formalmente regolari, ma di fatto al di sotto dei requisiti essenziali: si registrano carenze sul piano linguistico, su quello della matematica o della necessaria conoscenza della lingua inglese. Il misuratore “invalsi”, quello dei test somministrati a tappeto nella Scuola italiana, dà risultati sorprendenti con distribuzione nel Sud come nel Nord del Paese quanto a insufficienza di preparazione: 28% a Crotone, 26% del Sud Sardegna, 25% di Cosenza e Agrigento, 1,3% di Trento, 1,4% di Aosta e 1,7% di Sondrio.

Territori marginali, spesso di montagna, dove la rarefazione dei servizi in generale sta diventando una minaccia per la stessa permanenza delle comunità; ma quella che vide definita una dispersione di fatto (“implicita” dicono i tecnici) non è assente dalle grandi città come Napoli, Palermo, Torino, Genova, Roma e Milano se il termometro viene infilato nei quartieri periferici e a basso reddito medio familiare. Qui si registrano carenze con percentuali dal 40 al 60% degli studenti.

Mentre nei Paesi ricchi come l’Italia i correttivi sono possibili, quando il sistema decide di provvedere, nei Paesi poveri la frana formativa sembra non avere ostacoli. Anzi, proprio il Covid-19 determina panorami sconfortanti a breve e medio periodo.

Abbiamo chiesto ai missionari in tre continenti di darci il polso delle loro situazioni.

Americhe – Haiti

Incominciamo dall’isola centroamericana che è stata anche al centro dell’attenzione per qualche istante negli ultimi mesi a causa di due eventi terribili: l’uccisione del Presidente della Repubblica, Jovenel Moïses, il 7 luglio; il terremoto e l’uragano del 14 agosto, che hanno causato la morte di 2.189 persone e lo sfollamento di 600.000.

Don Attilio Stra ci tiene informati sull’andirivieni di speranze e delusioni per la ripresa regolare dell’attività scolastica. Lui non insegna (per raggiunti limiti di età: ha 85 anni!) ma segue da vicino 72 “barabit”, come chiama i ragazzi di strada accolti nella sede salesiana col nome che ricorreva a Torino ai tempi di Don Bosco.

Inizio annunciato come di regola il 6 settembre, rimando (per ora) al 4 ottobre. Hanno aperto solo le scuole più prestigiose e passate indenni dal disastro naturale, mentre le scuole di “bassa gamma” come vengono definite hanno già previsto la scadenza di gennaio 2022.

Ai fenomeni naturali si aggiunge un “clima Paese” devastante a causa della corruzione e della delinquenza armata.

Asia – Pakistan

Anche in Pakistan vige lo “stop and go” della Scuola pubblica. Piero Ramello, missionario a Lahore, ci spiega che ogni Stato che compone la federazione segue un proprio calendario. “Nel Punjab l’anno scolastico inizia ad aprile, ma per ragazzi ed insegnanti la vera sensazione di ripresa delle lezioni è dopo la pausa estiva, il 1 agosto. La scuola riprende in quella data perché, pur essendo agosto un mese ancora piuttosto caldo, le temperature non sono così elevate come in giugno e luglio. Il 2 agosto abbiamo finalmente potuto aprire il convitto, dopo quasi due anni di chiusura”.

Ma ecco il contrordine a distanza di una settimana: “Le scuole sono chiuse da 6 al 11 settembre a causa del coronavirus, con la conseguenza che il livello di apprendimento, già basso di per sé, viene ulteriormente diminuito”. I ragazzi staranno ad oziare in casa per un’altra settimana, come hanno fatto per mesi interi prima dell’estate. “I politici non immaginano il danno di queste chiusure sui ragazzi. La didattica a distanza è impraticabile.

Africa – Sierra Leone

Per il sistema scolastico della Sierra Leone non si parla assolutamente di Covid-19 e di restrizioni in merito, spiega Riccardo Racca. “Siccome si sta conducendo un importante esame a livello nazionale utilizzando alcune strutture scolastiche in varie città del Paese, il ministro si scusa con gli studenti delle secondarie che avranno un inizio scolastico un po’ frastagliato”. L’inizio comunque il 6 settembre è stato confermato, e la lettera con tanto di timbri e firme autografe segnala la serietà con cui il Governo della sierra Leone avverte la questione scuola.

Il Paese deve superare la soglia del 50% di alfabetizzati, e se le statistiche segnalano che per i maschi questo risultato è possibile, per le femmine la meta è lontana: si stima che solo una bambina su tre segua un regolare percorso scolastico.  Causa “storica” della dispersione scolastica è stata l’epidemia di ebola che nel 2014 lasciò a casa per un anno intero gli studenti. I salesiani davano istruzione a 10 mila ragazze e ragazzi in 17 scuole, riaperte fra tante difficoltà grazie alla determinazione dell’ispettoria. Alla ripresa molti di loro erano diventati orfani.

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