I Figli di Don Bosco nel campo profughi di Kakuma

1 maggio 2018

Viaggio missionarioin Kenya – 2° tappa

Sono molte le ONG accreditate presso l’ONU che gestiscono progetti a vantaggio dei rifugiati di questo campo, ma tutte queste organizzazioni straniere non possono avere sede dentro il campo. I volontari delle ONG devono vivere a parte, in una zona protetta e i cui servizi sono garantiti dall’ONU. Al mattino gli operatori entrano al campo e svolgono diversi servizi umanitari, ma alla sera, alle 18.00 c’è il coprifuoco, tutti devono lasciare il campo fino al mattino seguente… troppo pericoloso starci di notte. Questo vale per tutti meno che per i salesiani, che hanno una bellissima presenza stabile proprio in mezzo ai rifugiati. Le altre organizzazioni operano in favore dei rifugiati, i figli di Don Bosco, vivono, con i rifugiati! E non è mica una vita facile, sapete!?

Siamo ospiti di questa comunità composta da 5 salesiani: due sacerdoti, un coadiutore e due giovani tirocinanti. Vivono poveramente, come del resto tutti quelli che abitano nel campo. Svolgono una molteplicità di servizi educativi e pastorali: l’unica parrocchia cattolica dentro il campo è quella salesiana. La gente che viene alla Messa è tantissima: tanti giovani, mamme con i bambini, un coro polifonico curatissimo anima la liturgia. Altro che campo profughi, qui sembra di stare nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino. C’è poi la visita e l’animazione delle otto cappelle disperse dentro il campo e anche fuori. Perché i salesiani curano la pastorale dei rifugiati ma anche degli abitanti del luogo.

C’è il doposcuola per i piccoli delle elementari che frequentano la scuola primaria, ma essendo moltissimi nelle classi e provenendo da paesi di lingue diverse, faticano ad apprendere e stare al passo dei contenuti che vengono loro trasmessi. Le ripetizioni pomeridiane gestite presso il centro giovanile Don Bosco aiutano i più fragili a non restare indietro.

Infine c’è la formazione professionale. Cosa incredibile in un campo profughi, almeno come lo possiamo immaginare noi. Ma poiché il campo esiste da oltre venticinque anni e il numero degli abitanti è andato sempre crescendo, possiamo guardare a questa realtà come ad una vera e propria “città provvisoria” che non ha speranza di cambiare a breve termine. Allora bisogna pur far fare qualcosa per questi numerosissimi giovani, maschi e femmine, che nascono e crescono dentro il campo. Anche perché dentro il campo si è creata una economia interna in cui si svolgono piccoli lavoretti, servizi a terzi… denaro c’è n’è poco, ma quel poco che c’è alimenta una serie di attività produttive e commerciali di sopravvivenza.

La formazione professionale, della quale noi salesiani siamo esperti, l’abbiamo proposta da subito ai responsabili del campo e questi, capito il grande valore sociale ed economico che poteva offrire, l’hanno approvata e favorita. Ora ci sono ben quattro centri di formazione professionale dentro il campo profughi di Kakuma, frequentati da circa 4000 allievi, avete letto bene! Sono proprio 4000. Un numero enorme. I settori professionali sono tanti: elettricità, meccanica d’auto, falegnameria, taglio e cucito, lingua inglese, segreteria, informatica, edilizia, idraulica, agricoltura, saldatura. Vengono a frequentare i corsi non solo i giovani ospiti del campo profughi ma anche i figli dei kenioti che abitano fuori del campo. Nel giro di qualche centinaio di chilometri questa è l’unica proposta formativa che viene offerta. Ed i corsi sono riconosciuti dal governo del Kenya, quindi l’allievo che completa il corso e supera gli esami ha una qualifica professionale spendibile nel paese.

Questo è bellissimo, perché si offrono a giovani in condizione di precarietà estrema una possibilità di futuro normale. Il rifugiato ha uno status di precarietà tale e vive una condizione di sradicamento profondo dal proprio contesto di vita, che facilmente lo rende oggetto di “cure particolari” che lo rendono dipendente dagli altri in tutto, e per sempre…. purtroppo sulla pelle dei rifugiati, ed in generale dei più deboli, spesso ci sono interessi e business che alcuni hanno interesse a mantenere nel tempo….

Don Bosco, quando un giovane entra in una sua casa, non lo vuole tenere per sè per sempre. No, il giovane deve imparare a sognare e volare alto. Deve stare con Don Bosco quel tanto che serve per avere le basi umane e professionali che lo rendano un protagonista del proprio futuro nella società.

Giampietro Pettenon

Leggi di più sul campo profughi di Kakuma, gestito da UNHCR e Croce Rossa Internazionale

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