Il pariko, simbolo dell’identità dei Bororo, oggi “a rischio genocidio”

Il Museo Etnografico Missioni Don Bosco resterà chiuso ancora per un po’, per questo motivo ogni lunedì vi presenteremo un oggetto della collezione, ciascuno legato alla storia e alle memorie di una comunità, ma anche al presente e alla memoria collettiva. Scopriremo insieme ciò che hanno da dirci sulla situazione straordinaria che stiamo vivendo.

C’è una “geografia” della malattia: il covid-19 si sta diffondendo in modo molto più rapido tra i popoli indigeni dell’Amazzonia, che sono la fascia di popolazione più a rischio, a causa dell’assenza di difese immunitarie verso le infezioni respiratorie e dell’alto tasso di malnutrizione dei bambini. Inoltre i loro villaggi sono costruiti in zone difficilmente accessibili e prive di strutture sanitarie. Infine, rispettare il distanziamento sociale è praticamente impossibile per gruppi abituati a vivere in abitazioni comunitarie.

Tutta la regione panamazzonica è seriamente colpita, ma è in Brasile che tutti questi fattori, uniti a politiche governative che non tengono conto dei loro diritti – in primis il diritto alla salute – , stanno mettendo gli indigeni “a rischio genocidio”, come ha scritto nel suo appello il fotografo Sebastião Salgado. “Questi popoli fanno parte della straordinaria storia della nostra specie. La loro scomparsa sarebbe una grande tragedia per il Brasile e un’immensa perdita per l’umanità. Non c’è tempo da perdere.”

Anche il Museo Etnografico Missioni Don Bosco vuole simbolicamente accogliere l’appello di Salgado iniziando il racconto delle collezioni proprio dal Brasile e da un oggetto cardine dell’identità di una delle popolazioni indigene più numerose, i Bororo del Mato Grosso.

Si tratta del pariko, il diadema a raggiera che viene indossato a ventaglio sulla fronte, legato alla testa e inclinato di 45 gradi. Questo manufatto, portato in Italia nel 1910, è formato da una fila di penne di pappagallo ara rossa preceduto da una fila di penne di jacu (cassicus persicus) di colore giallo e al centro una penna di falco.

Il pariko è davvero come una carta d’identità per i Bororo, perché la disposizione e i colori delle penne e delle piume nella parte centrale ci rivela l’appartenenza al clan di chi lo indossa. Questo, ad esempio, è del clan bakoro-kuddu.

Fabbricato e usato dagli uomini in occasioni cerimoniali, il pariko è indossato sia durante i rituali legati alla caccia e alla pesca, sia durante quelli legati al ciclo di vita, quindi il rito di nominazione dei bambini, l’iniziazione dei ragazzi e delle ragazze e soprattutto il funerale, uno degli eventi più importanti del calendario rituale. È anche usato come ornamento della cesta funebre che contiene le ossa del defunto: a sottolineare la sua importanza, basta dire che il pariko non viene distrutto durante il funerale, a differenza di tutti gli altri oggetti che appartenevano al defunto, ed è uno dei pochi doni che lo accompagnano nel viaggio nell’aldilà.

Oltre a essere un ornamento di grande bellezza e manifestazione più autentica dell’arte plumaria, esprime la relazione dei Bororo con l’ambiente ed è il simbolo della discendenza dagli antenati mitici che hanno istituito la struttura circolare del villaggio, la divisione in due metà e l’organizzazione in clan.

Promuovere la salvaguardia delle popolazioni indigene significa anche preservare e custodire un patrimonio culturale di inestimabile ricchezza e un codice di valori che attingono dalla conoscenza profonda della natura, dal rispetto dell’ambiente e dall’appartenenza a una comunità.

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