In Guatemala una Pasqua segnata dal silenzio e dall’isolamento

Il #covid19 è arrivato anche in Guatemala ed ora aspettiamo di vedere che danni potrà fare in un paese in cui il distanziamento sociale è pura utopia, in cui la sanità è completamente inesistente, le condizioni di vita della maggior parte della gente inumane e dove però la fede è forte. Le nostre attività sono relegate alle dirette di Facebook… in una di queste alla domanda innocente di Don Luis a una ragazza su come si sentisse in questi giorni senza la possibilità di andare in Chiesa, lei si è messa a piangere, dicendo singhiozzando: “Mi manca la messa, mi mancano le riunioni, mi manca la formazione… mi mancano tutte queste cose che sono parte essenziale della mia vita”.

Per il messaggio di questa Pasqua prendo spunto da una omelia di un frate domenicano, che parlava della Croce. La Croce può essere vista da diverse ottiche, ve ne propongo due: dalla prospettiva del progetto di Dio che Gesù incarna o dalla prospettiva di coloro che lo crocifiggono.

Per i grandi di questo mondo (coloro che lo crocifiggono) la Croce è l’affermazione autoritaria del potere, l’annientamento della differenza, il trionfo dello scarto, la vittoria dell’ingiustizia e della manipolazione. Coloro che inchiodano sulla Croce Gesù sono convinti che Gesù debba essere distrutto affinché essi possano vivere meglio. Insomma, la croce è la morte, l’insensatezza, l’assurdità, la negazione di Dio e dell’essere umano, la fine della speranza e la consacrazione della legge del più forte.. Quante croci si continuano ora a distribuire in tanti angoli del pianeta che, come nel caso di Gesù, continuano a sfigurare l’umanità delle persone.

Invece, nel progetto di Dio, per Gesù, la Croce è una Buona notizia. Perché? Perché Gesù fa un annuncio gioioso della forza vivificante di Dio che si sta facendo presente nel mondo.
Portare la Croce, quindi, è un requisito discepolare per avanzare sulla via di Cristo verso la vita. Suona paradossale. È il mondo al contrario. Ma è quello che c’è nel Vangelo.

Si tratta della logica dell’amore. Non di un amore romantico, edulcorato o da film domenicale, ma dell’amore di donazione, di servizio e di umiltà che comporta un disprezzo del proprio, una dimenticanza di se stessi, un parcheggiare l’egoismo e cercare il bene e il diritto dell’altro; soprattutto il bene e il diritto dell’ultimo, del dimenticato, dell’impoverito, dello scartato.
Pertanto, la Croce che propone Gesù è quella che afferma “io mi arrendo per amore affinché gli altri abbiano una vita migliore, una vita più umana”.

Di conseguenza, la Croce, che è distintivo del cristiano, non è quella del dolore per il dolore o la sofferenza per la sofferenza, il che non vuol dire che non ci sia dolore nella vita cristiana. La Croce di Cristo è quella dell’amore più forte della morte perché, alla fine, il più forte non è colui che uccide o può uccidere di più, ma colui che ama e può dare più vita. E questo è il Dio rivelato in Gesù.
Questa volontà non è quella di schiacciare con la sofferenza il Figlio, ma quella che il Figlio sia coerente fino alla fine nel servizio ad un progetto di vita che mostri la vera statura dell’umano. Una volontà, non bisogna dimenticarlo, che, simultaneamente critica e svuota di senso ogni croce compresa come potere del forte sul debole e come distruzione dell’essere umano. Ma Quanto è importante la coerenza nella vita! La Croce di Gesù lo ricorda anche a noi.
Riconosco che la via della salvezza dell’umano è il servizio e l’amore donato, perché salva l’amore, non il dolore.
BUONA PASQUA DI RESURREZIONE A TUTTI!!!

Don Giampy

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