La missione che fece crescere la spiritualità di San Francesco di Sales

Il salesiano don Gianni Ghiglione è un profondo conoscitore della spiritualità di san Francesco di Sales. Lo ringraziamo perché ci consente di estrarre dai suoi libri un capitolo dedicato alla predicazione del Santo al quale si è ispirato Don Bosco, che riteniamo utile proporre ai nostri amici perché conoscano meglio lo spirito che anima anche i nostri missionari.

L’esperienza missionaria di Francesco nel Chiablese si interrompe la prima volta nella primavera del 1598 per recarsi a Roma per la consueta visita ad limina, in sostituzione del suo Vescovo, malandato in salute, e poi definitivamente verso la fine del 1601 per raggiungere Parigi, dove dovrà trattare dei problemi della Diocesi direttamente con il Nunzio, con il primo Ministro e con il Re Enrico IV. Francesco si reca dunque a Parigi e vi rimarrà 9 lunghi mesi.

Predica “più di cento volte” in numerose parrocchie, chiese, monasteri che lo cercano per celebrare, confessare, convertire.  Predica pure la quaresima nella cappella della regina nel palazzo del Louvre e dopo Pasqua davanti a Sua Maestà Enrico IV.

Sconsolato a ottobre scrive al Papa: “Dopo nove mesi interi, sono stato costretto a tornare sui miei passi senza aver concluso quasi nulla” (L 167, 352).

E invece Francesco in questi mesi parigini ha concluso tanto, tantissimo.

Per impegni politici e per amicizia con tante persone frequenta la corte e proprio in questo luogo Francesco scopre tanti uomini e donne desiderose di camminare verso il Signore, aperte alla preghiera e alla virtù. Con molte di esse inizia una sorta di guida spirituale. Frequenta il circolo di Madame Acarie dove conosce “le persone più devote di Parigi”, gli spiriti più sensibili ad un profondo rinnovamento spirituale.

In questo periodo Francesco riscopre la potenza dell’amore di Dio, la dolcezza dell’umanità del Salvatore, il desiderio profondo di una donazione totale a Dio attraverso una vita semplice, un cuore pieno d’amore, una gioia grande della propria vocazione.

E fu proprio a contatto con questo mondo spirituale che avvertì la mancanza di un testo che riassumesse in forma concisa e pratica i principi della vita interiore e ne facilitasse l’applicazione per tutte le classi sociali. Certo si poteva attingere il tutto nella Sacra Scrittura, negli scritti dei Padri o in qualche autore contemporaneo, ma si trattava di oro allo stato minerario. Ci voleva qualcuno che lo estraesse, lo sbarazzasse di tutte le impurità, lo fondesse, lo lucidasse… Era una necessità e così da questo anno il Santo inizia a mettere insieme i primi materiali che più tardi concorreranno alla composizione della Filotea.

Nel 1604, scrivendo a Rose Bourgeois, badessa di Puy d’Orbe, annota: “Se avessi qui i miei fogli, vi manderei un trattato che ho fatto a Parigi su questo argomento, scritto per una figlia spirituale e religiosa di un degno Monastero, che ne aveva bisogno per se stessa e per le altre”. In altre parole, noi oggi non avremmo la Filotea, se non ci fosse stato questo periodo parigino, dal quale il nostro prevosto torna a casa con un pugno di foglie secche in mano, ma con un cuore rinnovato da esperienze di una fecondità sorprendente. Al ritorno da Parigi apprende la notizia della morte del suo caro Vescovo, di cui era già stato nominato successore. Si prepara con cura alla consacrazione episcopale con due settimane di silenzio e di preghiera sotto la guida del padre Fourier. Diventerà Vescovo nella piccola chiesa di Thorens l’8 dicembre 1602, presente la sua mamma!

Da subito avverte il peso del nuovo incarico e la sua inadeguatezza: “Non si può credere quanto io mi senta assillato e oppresso da questa grande e difficile carica” (L 194, 421).

Don Gianni Ghiglione, SDB
Fine terza e ultima parte

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