Mahajanga, una missione che diventa capace di camminare sulle sue gambe

Viaggio missionario in Madagascar – terza parte

Siamo arrivati alla terza ed ultima tappa del viaggio missionario nelle opere salesiane del Madagascar. Dal sud dell’isola siamo risaliti a nord nella grande città di Mahajanga, un lungo percorso. Affacciata anch’essa, come Tulear, sul mare del Canale di Mozambico, gode di una splendida posizione un po’ rialzata che la fa assomigliare a tante nostre belle città prospicienti il mare: Napoli, Trieste, Genova…

Al tramonto sull’ampia insenatura che accoglie la foce del grande fiume Betsiboka, davanti al baobab di dimensioni gigantesche che è il simbolo del lungomare della città, non si può che restare affascinati da tanta bellezza. Meno male che il Signore ha fatto la terra bella ovunque e anche i poveri possono godere delle meraviglie del creato, senza doverle elemosinare dai ricchi!

A Mahajanga i salesiani hanno un’enorme opera con parrocchia, oratorio, scuola dell’infanzia e primaria (collocate, le scuole, in una parte periferica del quartiere abitato da pescatori), dispensario medico (gestito da una congregazione di suore) e il centro di formazione professionale che può tranquillamente competere con molti CFP dell’Italia quanto a strutture, attrezzature e organizzazione.

Dialogando con l’economo, il signor Erick giovane salesiano coadiutore malgascio di 33 anni appena laureatosi in ingegneria, ho appreso due cose molto belle.

La prima è che lui ha scoperto la sua vocazione salesiana frequentando il centro di formazione professionale, dove c’era un anziano coadiutore salesiano missionario che lo aveva molto colpito per la sua testimonianza di vita, per la sua signorilità nel trattare con i ragazzi, per la pazienza è per la competenza che aveva nell’insegnare meccanica in laboratorio. Il giovane Erick alla conclusione del percorso formativo ha detto nel suo cuore: “io voglio essere come lui”. Che bello scoprire la propria vocazione nella società e nella Chiesa guardando all’esempio di uno che ti precede nel cammino della vita e tu desideri imitare. Quale enorme responsabilità abbiamo noi adulti nell’essere un segno ed un modello vivente per i giovani che crescono, siano essi i nostri figli se siamo papà e mamme, o i ragazzi che ci vengono affidati in quanto educatori salesiani.

La seconda cosa bella che mi ha comunicato è l’impegno a far mantenere ai ragazzi l’ordine e la pulizia nei laboratori della scuola professionale. “Il bene va fatto bene” ripeteva Don Bosco. E per fare le cose bene con continuità ci vuole metodo. Lasciare il laboratorio pulito e le attrezzature in ordine al termine di ogni giorno di scuola è un’efficace strumento per insegnare ai giovani ad essere professionali nel proprio mestiere. Bravo Erick, hai capito come si educa nello stile salesiano e lo stai applicando con semplicità verso i tuoi fratelli malgasci più piccoli.

3500 pasti al giorno, 200 tonnellate di riso

A Mahajanga i salesiani mi hanno presentato un progetto singolare e grandioso al tempo stesso. La casa e l’attività ordinaria funzionano bene. Ora guardano al futuro per aiutare la propria opera e le altre case salesiane del Madagascar a diventare autosufficienti nei costi di gestione ordinaria: una grande sfida per tutte le opere missionarie!

Tutto nasce dal bisogno di dar da mangiare ai ragazzi che frequentano le nostre opere in Madagascar. Si tratta si sfornare circa 3500 pasti al giorno a favore dei ragazzi, con un piatto che ha come alimento base il riso. Fatti un po’ di conti servono ogni anno circa 200 tonnellate di riso. Per la carne e per le verdure ogni casa è già abbastanza attrezzata con una piccola azienda agricola in cui si allevano galline ovaiole uova, polli, conigli, maiali e capre; si coltivano poi verdura e alberi da frutto. Il tutto è destinato a coprire i consumi alimentari della comunità salesiana e dei numerosi ragazzi e giovani interni (quelli che vivono in collegio), e per quelli che frequentano giornalmente la scuola.

Ad Antananarivo ai ragazzi del CFP oltre al pranzo viene data anche la colazione, perché l’utenza è talmente povera che la fame questi ragazzi se la tolgono dai salesiani. Per dare il tempo per la colazione la scuola comincia al mattino alle ore 6.00, e poi si entra in aula. In quella scuola non ci sono problemi di alunni che arrivano in ritardo! Alle sei meno cinque sono già tutti davanti al cancello che aspettano venga aperto per correre al refettorio. Ecco un bell’esempio di fantasia salesiana per… prendere due piccioni con una fava: i ragazzi cominciano puntuali le lezioni, e inoltre possono seguirle le seguono con attenzione perché non sono spossati dallo stomaco vuoto!

Ma come procurarsi il riso per tante bocche da sfamare? Oggi si va al mercato e si compra quello che serve, confidando nell’aiuto economico della Provvidenza. Per il futuro la Provvidenza potrebbe progettare qualcosa di diverso. A circa 80 chilometri da Mahajanga si trova una grande piana circondata dall’altipiano, quasi fosse la base di un ampio catino, che nel periodo coloniale i francesi avevano adibito alla coltura intensiva del riso. Siamo nel distretto di Marovoay, riconosciuto come la zona dove cresce il miglior riso del Madagascar.

Con l’indipendenza del Madagascar nel 1960, le risaie sono state coltivate dagli stessi contadini di prima i quali, però, non hanno più fatto la manutenzione della delicata rete di canali che portano l’acqua durante lo sviluppo delle piante e la tolgono quando il riso deve maturare. Si arriva ai giorni nostri quando gli agricoltori sono sempre più poveri e devono accontentarsi di coltivare quei piccoli appezzamenti di terra, che possono irrigare con l’acqua che resta dopo la stazione delle piogge oppure con l’acqua eccedente che sgorga dal pozzo dell’acquedotto che serve la vicina cittadina. Approfittando di una legge nazionale che ha permesso di riscattare quelle proprietà ex coloniali, alcuni anni or sono i salesiani del Madagascar hanno chiesto l’aiuto di Missioni Don Bosco per comprare una grande proprietà agricola di 92 ettari di terra al prezzo di mille euro all’ettaro. Con altri 10 mila euro poi hanno iniziato i primi lavori di riconfinamento e di scavo di un pozzo per verificare la portata d’acqua che c’è nel sottosuolo. Completate poi lentamente le procedure per il passaggio di proprietà, in un dialogo paziente con i contadini che lavorano la terra ricavandone poco riso, allo scopo di rassicurarli che non siamo l’ennesima multinazionale europea o l’imprenditore indiano che ha fatto i soldi e nemmeno gli emissari del governo cinese che stanno comprando di tutto in Africa, siamo riusciti a convincerli che noi, nuovi proprietari, non li cacceremo da quelle terre ma li faremo lavorare cercando di ripristinare le risaie come un tempo, così da dare riso in abbondanza.

Imprenditori per l’autosostentamento e per generare lavoro pulito

Ora viene la parte più impegnativa del progetto, quella che economicamente è più grande e che permette di mettere in opera l’azienda agricola che produce riso.

Siamo andati a vedere questa grande proprietà assieme a dei tecnici italiani delle zone dove si produce il riso, uomini del mestiere. Il primo lavoro da fare è perforare un nuovo grande pozzo alla profondità di circa 100 metri. Poiché, come ho detto prima, siamo in una parte pianeggiante bassa circondati dall’altipiano, il pozzo una volta attivato darà acqua in abbondanza e senza bisogno di pompe aspiranti: è già così per il grande pozzo che alimenta l’acquedotto della cittadina. Poi la terra dovrà essere nuovamente livellata e si dovranno predisporre tutti i canali per distribuire l’acqua e quelli di scolo per portarla via, fino al piccolo fiume che scorre abbastanza vicino. Nella stagione delle piogge (gennaio e febbraio) la nostra risaia sarà allagata da quel fiume e quindi non potremo produrre nulla. Ma per nove mesi l’anno la risaia sarà operativa e darà due raccolti buoni all’anno: poco male se si perde la possibilità di fare un terzo raccolto a causa delle inondazioni d’inizio anno. È l’occasione per far riposare la terra e per alimentarla naturalmente grazie al limo che si deposita con l’acqua delle inondazioni. Così non serviranno prodotti chimici per “forzare” la produzione.

Il confronto con i tecnici italiani ci ha permesso di capire che se la produzione in Italia ora si attesta su 6 tonnellate per ettaro (grazie ad una produzione totalmente meccanizzata aiutata da fertilizzanti e senza le “mondine” che con il loro passaggio calpestavano alcune piante di riso) nella nostra risaia potremo arrivare ad averne 3: però con due raccolti l’anno, quindi con la stessa produttività dell’Italia. Con il vantaggio che si tratta di riso “biologico”, prodotto cioè senza fertilizzanti, senza impoverire o avvelenare la terra, rispettando i cicli naturali delle stagioni, facendo lavorare le mondine e quindi creando un indotto che darà lavoro a decine e decine di persone.

Con i dati forniti siamo in grado di prevedere che circa un terzo della produzione serve per l’autoconsumo dei salesiani e dei giovani da essi educati (e sfamati). Il resto della produzione potrà essere venduto sul mercato interno al giusto prezzo, così da recuperare i costi sostenuti per l’acquisto della semente, il salario dei lavoratori, l’acquisto e la manutenzione degli attrezzi agricoli. Si tratta di un investimento che, per portare a regime le risaie, si aggira su circa 500 mila euro complessivi.

Mi pare davvero un’ottima scelta di autofinanziamento per il futuro. Puntare sul riso, alimento fondamentale nella dieta alimentare di ogni malgascio che sicuramente non sarà soggetto a crisi di mercato o al cambio di gusti. Se poi la produzione serve principalmente per dar da mangiare ai propri ragazzi, allora mi pare proprio che valga la spesa di aiutare questi bravi figli di Don Bosco che pensano a come diventare autosufficienti nella gestione delle loro opere in terra di Madagascar.

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