Missioni Don Bosco protagonista nel Global Compact on Education

Un’anziana che sorride a un paffuto ragazzo seduto accanto a lei, un gruppo di bambini solleva le mani come per prendere qualcosa di immateriale, adolescenti in una vasta area verde corrono, giocano a calcio, discutono su una panchina, una mamma bacia il neonato che sorride alla sorella anche lei protesa ricambiare il gesto di affetto. Sono le immagini che danno il benvenuto a chi visita il sito del Global Compact on Education (il Patto Globale per la Formazione) che il Papa vuole per questo tempo dell’umanità.

Il 15 ottobre scorso c’è stato un passaggio importante del percorso di avvicinamento alla definizione del Patto: una assemblea di specialisti dell’educazione e dell’istruzione alla Pontificia Università Lateranense di Roma. Papa Francesco ha inviato un suo videomessaggio con il quale ha ribadito il pensiero-guida di questa operazione mondiale:

«Un proverbio africano recita che “per educare un bambino serve un intero villaggio”.
Ma dobbiamo costruirlo questo villaggio come condizione per educare.
Il terreno deve essere bonificato dalle discriminazioni con l’immissione di fraternità.»

Il Patto chiama ciascuno alla responsabilità

In queste semplici parole sono contenuti la traccia del percorso da fare e l’obiettivo da raggiungere, come le immagini sopra ricordate evocano fortemente:

il passaggio dagli adulti ai piccoli del patrimonio di esperienza (costituita dalla conoscenza e dal saper fare) è il nucleo di ciò che chiamiamo educazione. Scuola, gruppi dei pari, media possono accompagnare questa azione di fondo che però fondamentalmente appartengono alla responsabilità di ogni persona, parente o meno, nei confronti di ogni minore;

i bambini sono grandemente ricettivi dell’attenzione degli adulti e oltre al cibo, indispensabile, aspirano a ricevere da loro un bene che alimenti i loro affetti e le loro intelligenze. Oggi c’è una grande fame di questo dono, così nelle società dove l’istruzione è più strutturata ma talvolta manca di valore come in quelle dove si stenta a mettere dietro a una scrivania un maestro e una lavagna;

la crescita avviene comunque, che ne siamo consapevoli o meno, che siamo prossimi o distanti. Educare non significa sostituirsi alla persona che sta crescendo ma neppure lasciare che tutto accada senza intervento, senza partecipazione, senza passione di una comunità. Gli adolescenti restano la cartina al tornasole del rapporto di scambio fra mondi conviventi ma diversi, quelli della giovinezza e quello della maturità;

la famiglia è la prima responsabile della visione delle relazioni che si generano: potenzialmente volte alla simpatia e purtroppo suscettibili di distorsioni che portano alla tristezza, alla marginalizzazione, fino alla violenza in vario modo espressa.

L’educazione è un’azione di insieme

Dunque, comunità (dal villaggio sperduto al villaggio globale) educanti e – questo il reciproco – comunità da educare, da riportare cioè al ruolo che ad esse compete per fondare la vita personale e collettiva. Già papa Benedetto XVI aveva allertato i cristiani e il mondo su quella che definiva “emergenza educativa”, la rinuncia progressiva (nei fatti ma anche in certe ideologie) a svolgere il compito di compagnia e di dialogo assegnato a ciascuno nei rapporti con i più piccoli.
È un programma di lavoro che non ha scadenza, è l’impegno di sempre ma è anche la sfida speciale per uscire dalle secche del momento storico in cui ci troviamo.
Il Covid-19 ha imposto una variazione di programma anche per questo progetto del Papa: a maggio 2020 doveva svolgersi il grande incontro in Vaticano dei capi di Stato di tutto il mondo (e le adesioni erano state già raccolte) per sottoscrivere con personalità della cultura e dell’istruzione il Global Compact. Esperienze di punta scelte tra le mille possibili si sarebbero presentate lungo via della Conciliazione (e come è azzeccato questo toponimo per proiettare una luce sul rapporto fra generazioni diverse!) per evidenziarle, discuterle, condividerle.

Anche i missionari in questo Patto

Lungo questa via che congiunge Roma a San Pietro ci sarebbe stata materialmente anche Missioni Don Bosco, punto di convergenza fra esperienze educative di punta che conosciamo e sosteniamo in tutto il mondo: nient’altro che l’attitudine salesiana a investirsi della normalità dell’azione formativa e a ricercare fra i destinatari quelli che ne avrebbero meno possibilità di accesso.
È lo straordinario dell’ordinario: un missionario diventa pioniere di un servizio
quando la normale proposta di frequenza di una scuola primaria non è per tutti, e occorre andare a riconquistare gli estromessi per dare loro un diritto,
quando la ricerca di una collocazione dignitosa nel lavoro richiede di portare le opportunità formative il più vicino agli studenti,
quando la disperazione suggerisce di emigrare dal proprio Paese, impoverendolo con questo stesso fatto di una risorsa fondamentale per il suo sviluppo,
quando essere con un popolo comporta la condivisione della difesa e della valorizzazione della sua cultura, dei suoi spazi.

La pandemia ha reso impraticabili alcune tappe del Global Compact on Education, come il ritrovarsi con papa Francesco in Vaticano, ma non ne ha smorzato la spinta. L’appuntamento è rimandato, sarà riformulato secondo le possibilità che la primavera del 2021 sembra poter dare. Ma intanto anche questo stato di malattia mondiale ha a che vedere con il tema del rapporto formativo, del patto intergenerazionale, dell’essenziale da ricercare nelle relazioni. In modo paradossale ci sta “educando” e dovremo prenderne la lezione.

 
 

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