Profonda unità spirituale e operativa tra Francesco di Sales e Giovanni Bosco

Una settimana distanzia la memoria liturgica di san Francesco di Sales (24 gennaio) e quella di san Giovanni Bosco (31 gennaio). La cadenza nel calendario dei due campioni vita cristiana rappresenta anche una sorta di successione fra il primo, maestro e testimone di una spiritualità eccelsa, e il secondo, generatore di carità instancabile verso i giovani. Non si sottolinea mai abbastanza l’ispirazione avuta dal giovane don Giovanni Bosco e dai suoi ragazzi per l’opera di Valdocco al modello del vescovo di Ginevra vissuto due secoli prima. Di tale peso doveva essere l’impronta lasciata da Francesco di Sales da muovere i cuori all’impegno deciso per la missione della Chiesa anche a distanza di tanto tempo: sicuramente un Santo che costituisce un faro ben oltre la Riforma cattolica della quale fu interprete. Una sorta di porto sicuro di fede al quale potevano ancorarsi i Cattolici dell’Ottocento scossi più che dalla separazione dei Protestanti dall’affermarsi nella società di un laicismo fortemente condizionato dalla Massoneria.

A Torino, dove il Regno di Savoia si apprestava a conquistare l’intera Italia per riunirla sotto una sola bandiera, la Chiesa sentiva crescere un’avversione nei propri confronti che si manifestava nella marginalizzazione laddove venivano prese le decisioni politiche, nello svilimento del portato culturale della sua tradizione. San Francesco di Sales aveva reagito alla perdita di unità della Chiesa, san Giovanni Bosco alla perdita di incidenza sociale ed economica della Chiesa. Entrambi usarono gli strumenti della divulgazione delle verità di fede e della manifestazione dell’amore di Dio con l’accoglienza, la pazienza, la speranza. Si sbaglia nel considerare Francesco il “pensatore” e Giovanni l’ “esecutore”: il vescovo non stava dietro alla scrivania a disegnare strategie e a scrivere i suoi pensieri, il prete di strada non si perdeva dietro al fare materiale ma agiva sull’intelligenza delle cose. Entrambi dedicavano molto del loro tempo all’incontro personale: scambio di lettere, ascolto di confidenze, pubblicazioni rivolte a tutti ma con ogni parola pesata avendo negli occhi persone concrete, generosa disponibilità a effondere il sacramento della riconciliazione con Dio.

Se oggi il nome di Francesco di Sales è diffuso in tutto il mondo è grazie anche alla spinta missionaria che Don Bosco sentì forte per i suoi figli spirituali a beneficio dei ragazzi più lontani da Valdocco. Ma se si cercano le forze che sostennero quella spinta, se ne trova la gran parte dentro alla storia e al pensiero del santo Vescovo. L’uno e l’altro debitori della comunione dei Santi che li ha fatti crescere nell’amore a Gesù e li ha fatti attori della dinamica del servizio ai poveri. Questo centenario della morte di san Francesco di Sales può costituire l’occasione per ritrovare i fili che più profondamente legano l’esperienza dei figli e delle figlie di Valdocco e di Mornese con la pratica quotidiana del loro mettersi a disposizione delle nuove generazioni.

La capacità di Don Bosco di entrare in profondità nelle coscienze, con delicatezza e senza sopraffazione, nasce dall’affinamento spirituale che san Francesco ha lasciato nei suoi scritti. I suoi consigli per la pratica delle virtù umane e cristiane sono messi in pratica nell’oratorio.

I Santi non cercano di apparire per le loro virtù, ma le usano ai fini della vocazione a cui sono chiamati. Don Bosco è stato alla scuola di san Francesco di Sales facendosi permeare del suo modo di affrontare il mondo: con una simpatia non deviata dalla compiacenza, con l’accettazione del confronto ma senza equivoci, senza sottrarsi alle sfide umane, nella consapevolezza che è Dio che costruisce la sua tenda fra gli uomini.  La vita che Don Bosco ha vissuta e che ha proposto ai suoi ragazzi è attuazione del consiglio che san Francesco di Sales riassume così per l’anima amica di Dio:

“Guarda il Cielo e non lasciarlo per la terra; guarda l’infermo e non gettarti in esso per gli attimi che fuggono; guarda Gesù Cristo, non rinnegarlo per nessuna cosa al mondo; quando la fatica della vita devota ti sembrerà dura, canta con san Francesco (d’Assisi): Tutta la pena mi è diletto per il bene che mi aspetto”.

Sette giorni separano le due memorie liturgiche: vi fu un momento di concepimento del Creato che si realizzò nell’arco di sei giorni, e poi vi fu il giorno di pura contemplazione da parte di Dio di quanto aveva fatto. Forse si potrebbero considerare le figure di san Francesco di Sales e di san Giovanni Bosco come un alfa e un omega del benvolere di Dio per gli uomini: il momento germinale che già conteneva il tutto e il momento della realizzazione che vive dell’intuizione originaria. Il mondo salesiano può essere certo che l’uomo che il fondatore volle come ispiratore e protettore delle sue opere ha ancora molto da dare al presente per una maggiore comprensione dell’animo umano e per un’azione efficace di promozione sociale aperta all’evangelizzazione. Di certo è affascinante riuscire a guardare la presente Famiglia salesiana e le sue opere come un mondo da contemplare.

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