Suor Rosy Lapo: missionaria ai confini dell’Amazzonia, vicina a Dio

Se c’è uno stile salesiano che le Figlie di Maria Ausiliatrice esprimono in missione, suor Rosy Lapo ne è un campione straordinario. Felice di essere fra la gente dell’Amazzonia, ne ha conosciuto e via via imparato i vari dialetti. E opera per loro nei villaggi più distanti dal capoluogo Manaus, a diverse giornate di canoa.

Si trova nel cosiddetto “triangolo del Tukano”, una vasta area compresa fra Iauareté (ben nota agli amici di Missioni Don Bosco per la missione di padre Cappelletti), Taracuà e Pari Cachoeira, dove prevale la popolazione che parla la lingua tukano. Siamo nella terra indigena dell’alto Rio Negro, in Brasile, a ridosso della Colombia.

Periodicamente suor Rosy, cappello in testa e ottimismo dello Spirito, si imbarca con le consorelle su lance che risalgono le arterie del grande bacino fluviale. Tre suore, sei ciabatte, bastoni da cammino raccolti lungo il percorso per raggiungere i piccoli agglomerati. In mezzo a questi, alcuni composti da poche case di legno, il centro polifunzionale in cui la presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice rende solenne il battesimo dato ai nati dall’ultima visita. Danze di bambini, senso di comunità che si esprime intorno a un sacramento che ricorda l’immersione purificatrice nelle acque che qui danno il ritmo alle giornate. Il sacerdote che viene a celebrare l’eucarestia è indigeno, di una tribù vicina.

La conduzione della vita quotidiana avviene in questo spirito comunitario: a sollevare i grossi cesti di radici e di frutti commestibili sono marito e moglie, ma spesso i vicini si aiutano, i più giovani fanno gruppo per effettuare la raccolta e il trasporto di cibo. Anche la preparazione e la consumazione avvengono nella condivisione degli spazi: il bejù (il pane che si prepara a larghe falde) viene steso su graticci comuni, lo xibé (la bevanda energetica di farina e acqua) si prepara in grossi catini dove tutti possono attingere. “Ce n’è sempre per tutti” attesta suo Rosy, che vede le persone serenamente avvicinarsi ai tavoli disposti davanti alle capanne. A disposizione ci sono anche la carne di qualche piccolo roditore, le proteine degli insetti; se non sono abbastanza gustose, sono ampiamente condite con peperoncino. E ce n’è anche per i cagnolini, che si avvicinano senza timore.

Il “più” che portano le suore sono anche medicinali e cure per le malattie tipiche del territorio: il morso del serpente jararaca, i vermi tumbira portati dagli animali domestici, i parassiti che infestano i piedi con cui si cammina scalzi… oltre alle normali pratiche di igiene e profilassi, che talvolta sono davvero risolutive per garantire sanità a piccoli e grandi.

Uomini e donne filano materiali per la tessitura e per l’intreccio di ceste. Non chiedono aiuti straordinari ma sanno apprezzare ciò che rende la loro vita meno pesante, come il dono di un trattore per andare nei campi. Soprattutto sono grati per questa relazione che le suore salesiane garantiscono con il resto del mondo: una piccola comunità che suor Rosy compone insieme con suor Maria Rainilza Almeida e suor Bernardete Barbosa all’ombra di Madre Mazzarello.

Quanto è stato manifestato al sinodo Panamazzonico dell’ottobre 2019 è l’espressione del sentire comune della Chiesa cattolica in queste terre. Suor Rosy sottolinea la necessità di individuare persone di fede certa disponibili a servire le comunità. “I villaggi sono distanti, non è sempre possibile andare a visitarli tutti con la frequenza che si vorrebbe” spiega. L’incontro in alcuni casi avviene una sola volta all’anno, “e nel frattempo” avverte con vero spirito materno “le comunità restano senza l’aiuto spirituale”.

È una questione che forse da noi in Italia non avvertiamo nella sua gravità, avendo chiese e sacerdoti distribuiti nei nostri paesi e città. In Amazzonia le distanze sono enormi, le chiese si trovano nei grandi centri, nei villaggi non ci sono cappelle. “Quando leggiamo insieme la Parola di Dio” dice con commozione suo Rosy “viviamo un momento ricco, molto ricco”. Si legge il testo nella lingua nazionale, il portoghese, poi si ripete in ogni lingua locale; il catechista chiarisce il contesto biblico e le espressioni che ricorrono. “La condivisone della Parola di Dio è una cosa stupenda perché lo Spirito Santo la guida. Le persone parlano semplicemente, nella loro lingua materna, e senti che Dio li sta ispirando”.

A coronare questo intenso lavoro missionario si avverte la necessità di rendere più frequenti le celebrazioni eucaristiche. “Queste sono il momento dell’alimentazione spirituale”, dice: perché non preoccuparsi di rendere prossima anche alle popolazioni indie la presenza Gesù sacramentato? Sulla base della sua esperienza, suor Rosy considera la possibilità che persone che hanno una fede manifesta e vivono la loro condizione (anche di sposati) con spirito religioso possano essere ordinati ministri dell’eucarestia affinché possano celebrarla con il popolo e per il popolo a cui appartengono.

In attesa di vedere cosa avrà portato il Sinodo, come Figlia di Maria Ausiliatrice lei si riconosce felice fra le persone che la sua missione le fa incontrare. “Dio è molto vicino, non li abbandona. È il Dio dei poveri. Sono sempre allegri e anch’io lo sono con loro”.

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