Tutti i numeri della missionarietà salesiana, ma soprattutto le persone

La 150° spedizione missionaria salesiana si può raccontare con i numeri, come suggerisce la stessa ricorrenza. Lasciamo a chi legge l’aggiunta delle emozioni che questi numeri suscitano nei protagonisti e nei loro amici, nella grande famiglia salesiana e in tutta la Chiesa.

1875: è l’anno della prima partenza. Era l’11 novembre. 6 sacerdoti e 4 cooperatori vengono salutati da don Giovanni Bosco e dall’intera comunità dei giovani di Valdocco alla quale si è unita una moltitudine di torinesi che riempie le vie intorno.

Questa volta a dare la benedizione paterna ai 36 partenti del 2019 è il 10° successore di Don Bosco, don Ángel Fernández Artime intorno al quale sono eccezionalmente radunati 17 ispettori provenienti da tutto il mondo e 13 missionari che si trovano in questo periodo in Italia per un corso di aggiornamento. Con loro 12 Figlie di Maria Ausiliatrice con la Madre Generale Yvonne Reungoat e un gruppo di consorelle, pronte a ricevere il crocifisso per partire appena completato il percorso formativo verso destinazioni in alcuni casi ancora in via di definizione. Ma il missionario si rende disponibile “a scatola chiusa” perché il suo servizio non nasce da una scelta ma una chiamata.

9.542 è il numero totale di missionari fino ad oggi inviati da Don Bosco e dai suoi successori dalla Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino, come risulta dal Libro dei Missionari. Lo ha ricordato nell’omelia del 29 settembre don Ángel Fernández Artime. Ma il numero effettivo di salesiani partiti è sicuramente maggiore: quanti di essi sono partiti senza passare per Torino e senza la presenza del Rettor Maggiore? L’urgenza, la distanza, la riservatezza di certi mandati per l’evangelizzazione non entra nei registri formali, e i nomi dei salesiani rimangono nel cuore dei loro superiori, la loro azione è misurabile solo dallo Spirito Santo. “Pare che il numero reale totale degli inviati sia più di 10.400” ha affermato don Artime.

14.659 è il novero dei salesiani oggi nel mondo. Sono in ognuno dei 5 continenti, ufficialmente in 132 nazioni. Le Figlie di Maria Ausiliatrice sono 12.245 in 94 nazioni.

Ha ragione il Retton Maggiore a commentare: “Le nostre Congregazioni (quella maschile e quella femminile; n.d.r) sono riconosciute per l’educazione e l’evangelizzazione dei giovani… Però, con tali numeri, siamo davvero un Istituto ed una Congregazione missionaria. Il fuoco d’amore per Gesù non ci ha permesso di restare chiusi tra quattro mura”.

Non è per trionfalismo che si richiamano questi numeri: è semmai la consapevolezza che la capacità evangelizzatrice della Chiesa è affidata ai figli di quel piccolo grande uomo che seppe sognare un futuro diverso per i suoi scalmanati ragazzi di strada e intuire per loro strade da percorrere scavalcando gli oceani.

8 dicembre 2019, Festa di Maria Immacolata: il Rettor Maggiore lancerà l’appello missionario dell’anno. Ha invitato tutti i partecipanti alla 150° partenza missionaria a fissare negli occhi “il cortile che ha visto gli inizi della nostra famiglia ed il consolidarsi del carisma salesiano”. Le radici configurano e alimentano l’albero che è cresciuto.

3 intense giornate hanno preceduto la partenza missionaria: sono le giornate dell’Harambée, fatte di dialoghi e di visite meditate ai luoghi salesiani.

Nel ritmo serrato di incontri dei partenti, Missioni Don bosco è riuscita a incontrare alcuni dei partenti, cercando di cogliere le sensazioni e i progetti. Qui proponiamo l’intervista a Piero Ramello, 55 anni, professore all’istituto salesiano Agnelli di Torino. È il missionario che l’ispettoria Piemonte-Valle d’Aosta ha maturato questa volta. Andrà in Pakistan, ancora senza uno specifico compito; ma le sue conoscenze di matematica e fisica, di cui è docente, nonché quelle di gestione maturate come economo della comunità di provenienza, sicuramente risulteranno preziose anche nel luogo di approdo.



Un’altra intervista che qui proponiamo è quella con Mounir Hanasci, salesiano della Siria. Nel silenzio caduto sul suo Paese la gente fa fatica a comunicare i suoi bisogni, mentre l’emigrazione non si è arrestata. E fra chi rimane incombe il ricordo delle violenze subite. In una stessa comunità ci sono vittime e carnefici di una guerra di rilievo mondiale ma che ha avuto anzitutto una rilevanza civile. Sostenitori e avversari del governo sono stati protagonisti di crimini che hanno lasciato una cicatrice profonda. Lo sforzo della Chiesa è quello di chiedere lo sforzo di pronunciare la parola “perdono”.

Un capitolo importante è la rilettura delle testimonianze di alcuni dei Santi missionari salesiani. Il testimone opera non per cercare gloria ma per servire a un annuncio di speranza. L’esempio di chi lo ha preceduto offre modelli concreti e muove alla riconoscenza per l’eroicità di alcuni percorsi di vita.

L’attenzione al passato non esclude la possibilità di riconoscere anche nel presente questi modelli. Don Artime ha infatti presentato 3 testimoni particolari presenti all’Harambée, due dei quali fra i coinvolti ora in una nuova missione.

  • Marcelo Melani: italiano, 80 anni, per molti decenni missionario in Argentina. Una volta concluso il suo servizio come vescovo in Patagonia (diocesi di Neuquén), è tornato all’Ispettoria a cui apparteneva ed ha fatto il parroco ed il catechista. Si è sentito pronto a rispondere all’appello del Papa e del Rettor Maggiore, e la sua disponibilità è stata accolta. Andrà in Perù.

     

  • don Bashir Souccar: siriano, 71 anni, esperto nel fare oratorio con i musulmani. Dall’Ispettoria MOR si è reso disponibile e andrà in Tunisia… a portare la gioia dell’oratorio, specialmente tra i giovani musulmani.

Il terzo testimone ricordato dal Rettor Maggiore è:

  • don Germain Plakoo-Mlapa, togolese. “È stato presente al martirio di don César Antonio Fernández (febbraio 2019) che di don Fernando Hernández (maggio 2019), avvenuti in Burkina Faso” ha ricordato il rettor Maggiore. “Era accanto a entrambi, non sa perché non sia stato ucciso anche lui. Ora è qui, sta recuperando ed ha il cuore pieno di serenità e pace, perché ha saputo perdonare e continua a vivere con il cuore pieno di Gesù e del suo amore”.

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