Verso il Sinodo dei Vescovi dell’Amazzonia: ascoltare gli indios

Affrontare il tema dell’Amazzonia significa affrontare il cuore dei problemi del mondo contemporaneo. Per questa ragione, i vescovi dell’Amazzonia che il Papa vuole con sé radunati in Sinodo a Roma il prossimo ottobre saranno come un laboratorio che darà esiti validi per l’intero pianeta.

I salesiani – missionari dall’Europa, ma anche, sempre più numerosi, di origine locale, si trovano sul territorio amazzonico con tutte le domande del caso, ma anche con un bagaglio di risposte che nascono dal loro quotidiano servizio. E con la capacità di correlare la riflessione locale a quella globale, grazie alla presenza della Congregazione in 136 Paesi.

Vediamo allora quali sono i temi che lo speciale Sinodo indetto da papa Francesco si troverà ad affrontare.

Anzitutto vi è una serie di problemi “di metodo”, potremmo dire: la Chiesa è particolarmente sensibile al destino popoli nativi dell’Amazzonia, ma la loro voce è soffocata da condizionamenti interni ed esterni. Si tratta di etnie disperse su vasti territori, differenziate fra di loro per usi e costumi e anche per il diverso approccio con le altre tribù. Chi può rappresentarli in maniera univoca? È un problema che si pone e al quale dà una soluzione interessante don Juan Bottasso, salesiano dell’Università di Quito in Equador: ci sono molti leader di grande bravura fra gli indigeni, non occorre necessariamente scegliere quelli che hanno maggiore risonanza mediatica per raccogliere il vero pensiero della loro gente. La consapevolezza che hanno maturato le comunità è diffusa, non appartiene a pochi eletti; non solo quelli più “ascoltati” sanno rappresentare esattamente le aspirazioni degli indios.

I condizionamenti esterni sono evidentemente più soffocanti: l’interesse per la terra amazzonica interessa governi e imprese, locali e multinazionali; coinvolge speculatori e imprenditori, ma anche agricoltori e allevatori, poveri delle periferie urbane e consumatori di altri continenti. A reprimere il grido dei popoli nativi provvedono i mass media e le squadre della morte. Il silenzio sulla deforestazione progressiva e inarrestabile di intere regioni occupate dalle popolazioni autoctone, l’azione soffusa e difficilmente controllabile dei sicari che colpiscono i protagonisti della resistenza alla globalizzazione rendono la condizione gravemente compromessa.

È ancora “di metodo” il nodo che riguarda le possibilità di superare lo status quo. La Chiesa cattolica si trova in prima fila nella difesa dei popoli dell’Amazzonia, e usa la sua autorevolezza per farsene paladina. Ma certo non può condurre un’azione da sola o ignorando le altre forze in campo. Don Bottasso, che in queste settimane è in Italia per partecipare a varie assemblee in preparazione del Sinodo, pone anzitutto la questione della comprensione del problema. Occorre un approccio multidisciplinare, perché antropologia, sociologia, economia, ambientalismo sono altrettanti punti di vista con i quali affrontare una questione ormai drammatica. Il Sinodo dovrebbe pertanto rilanciare il proposito dei vescovi di raccordarsi con tutti gli attori oggi presenti sulla scena amazzonica: dalle ONG ai movimenti di opinione, senza escludere i governi e le amministrazioni in cui operano anche molti che si dichiarano credenti.

La raccomandazione che sta emergendo nella lunga preparazione del Sinodo di ottobre a Roma, che non a caso si svolgerà durante il mese missionario straordinario indetto da papa Francesco, è quella di fare degli indigeni amazzonici i veri protagonisti degli incontri, riconoscendone il pieno diritto all’autodeterminazione. – Sono loro che devono decidere, perché il futuro è loro. Senza esserne coscienti, a volte senza dirlo, ci siamo un po’ considerati i loro maestri, i lori padroni. Quello è un atteggiamento non solo paternalista, ma fortemente sbagliato – sostiene don Bottasso.

La Chiesa ha fatto e sta facendo una sincera revisione del suo modo di rapportarsi con i conquistati durante l’invasione europea del continente americano. Oggi la sua missione è quella di riconoscere la presenza di Dio nelle culture di tutti i popoli.

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