Xavante e missionari: dal rifiuto alla convivenza pacifica

Prima del Novecento, di loro, si aveva notizia solo nelle cronache di viaggio degli esploratori, piuttosto imprecise e frammentarie: gli Xavante, dopo i primi feroci scontri con i cercatori d’oro che intendevano occupare le loro terre, rifiutarono ogni contatto con i bianchi. Decimati dalle epidemie e dagli scontri, i pochi superstiti decisero di rifugiarsi nel Mato Grosso, dove ancora oggi abitano, in un territorio di grandi altipiani ricoperti dalla foresta tropicale e dal mato, la savana con piante a basso fusto.

Desiderosi di entrare in contatto con gli Xavante, i missionari salesiani, già attivi tra i Bororo cercarono di avvicinarli, anche a costo della vita, come toccò a Juan Fuchs e Pietro Sacilotti, uccisi il 1° novembre 1934.

Bisogna attendere la fine degli anni ’30 per registrare un’inversione di tendenza. Nel 1937, infatti, mostrarono buona accoglienza e riconoscenza nei confronti di una spedizione di missionari salesiani lungo il Rio das Mortes – in particolare, Padre Colbacchini, percepito dagli Xavante come un anziano veggente, fu introdotto nel loro gruppo con una sorta di rito di iniziazione – e accettarono con benevolenza la proposta governativa di stabilirsi in un villaggio chiamato in loro onore Xavantina. I missionari salesiani iniziarono la loro prima missione a Santa Terezinha, rispettando nell’aldeia la struttura del villaggio tradizionale.

Dopo il Concilio Vaticano II si inaugura la fase di inculturazione più intensa: tutto ciò che i missionari intendono intraprendere in campo economico, sociale o religioso da allora viene concordato con il capo villaggio e con l’approvazione dell’assemblea dei capi famiglia, e al tempo stesso gli Xavante rendono partecipi i missionari di tutte le decisioni e di tutti gli eventi che segnano la loro vita. Fare tesoro delle esperienze del passato e tenere sempre a mente le esigenze e dei desideri degli Xavante contraddistinguono la “nuova onda” della presenza missionari.

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